Dalla lettura del sintetico comunicato stampa della Corte Costituzionale due elementi vengono immediatamente in risalto:
- l’istituto della mediazione nella sua globalità viene sostanzialmente “promosso”
- la Consulta motiva la decisione, per quel che è dato leggere, solo con il rilievo dell’eccesso di delega, ciò significa che un nuovo intervento del legislatore sarebbe in grado sanare questo liminare aspetto d’incostituzionalità!
Questa nostra lettura trova sostegno anche nel primo commento del Ministro della Giustizia: Non ho letto le motivazioni ma la valutazione di legittimità è solo su una parte della delega che è stata esercitata dal precedente governo. Non posso che prenderne atto” che ha , tra l’altro, sottolineato che “Gli istituti funzionano nel tempo, con la pratica, e questo stava iniziando a funzionare. Rimane comunque quella facoltativa, vuol dire che lavoreremo sugli incentivi”
Quindi se la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale, solo per eccesso di delega legislativa del d.lgs. 4 marzo 2010, n.28 nella parte in cui introdotto l’obbligatorietà della mediazione, ciò vuol dire che quello che va sanato è solo, ed unicamente, un vizio di forma.
Vizio di forma che può causare gravi ed irrimediabili danni al nostro paese in termini occupazionali, economici e culturali.
La mediazione sta funzionando, lo dice lo stesso ministro Severino; malgrado le ostilità – soprattutto della classe forense – è stata registrata una notevole diminuzione della nuove cause iscritte a ruolo e il numero delle mediazioni concluse con successo registra un costante ed inesorabile aumento.
Di eguale opinione un intervento di Ernesto Lupo, Primo Presidente della Corte di Cassazione, il quale – in una conferenza del 19/10/2012 – aveva affermato che “In Italia il tentativo di conciliazione è previsto dal legislatore come obbligatorio in diverse materie. La scelta è dovuta alla necessità di forzare un cambiamento culturale che altrimenti sarebbe sicuramente mancato”.
Dall’altro canto la Commissione Europea ha, in più occasioni, espresso parere favorevole alla normativa italiana in materia di mediazione, applicativa della Direttiva Europea del 2008. Da ultimo Arlene McCarthy, europarlamentare e relatore della Direttiva sulla mediazione, ha indicato nel modello italiano “una possibile best practice europea in materia di mediazione”.
Non deve e non può cadere per un difetto meramente formale del percorso giuridico uno dei pilastri della riforma della giustizia, lo strumento sul quale il governo puntava per ridurre il carico dei processi civili, divenuto, oramai, insostenibile per il nostro paese!
Il danno in termini economici e sociale è incommensurabile.
In Italia ormai ci sono quasi 900 Organismi di Mediazione. Ognuno di questi, per rispettare le disposizioni ministeriali, ha più di una sede, ha dovuto assumere dipendenti con rapporto di lavoro subordinato, se per ogni organismo prevediamo, de minimis, 3 sedi, 3 dipendenti e 5 mediatori arriviamo a cifre sbalorditive: oltre 50.000 persone perderanno il lavoro.
Il carico giudiziario dei tribunali tornerà a crescere a dismisura e, di conseguenza, si avrà un aggravio dei costi, un’eccessiva lungaggine dei processi e quindi minore attrattività per gli investimenti dall’estero nel nostro Paese che sprofonderà ulteriormente nella speciale classifica dell’attrazione per gli investimenti, superando il terzo mondo. Le esperienze passate insegnano che non esistono altre vie per risolvere i cronici problemi della nostro sovraffollato sistema di giustizia.
L’obbligatorietà della mediazione è necessaria per vincere tutte le resistenze culturali e corporative che la mediazione incontra.
Il Governo ha il dovere d’intervenire, in tempi stretti, sanando il vizio formale. Un cavillo non può interrompere il cammino virtuoso finora intrapreso.
Pubblicato il 24/10/2012.