Il Tribunale di Siena ha applicato nella procedura di Mediazione, in maniera innovativa, il principio generale del negozio in ”frode alla legge”.
Il Tribunale di Siena, in persona del Dott. Caramellino, con Sent. n. 209 del 2012 ha applicato nella procedura di Mediazioneil principio generale del negozio in “frode alla legge” ex art. 1344 c.c. in maniera del tutto originale.
Il caso ha ad oggetto una causa istaurata a seguito di un opposizione a decreto ingiuntivo nella quale il giudice, rilevata l’improcedibilità dell’azione per mancato esperimento del tentativo di mediazione, rinviava le parti, la c.d. “mediazione delegata”.
Nel caso in esame i tre attori-opponenti, di comune accordo, avevano istaurato la procedura di Mediazione in maniera ”formale” senza poi prendere parte alla procedura stessa e senza nemmeno corrispondere le spese di avvio e l’indennità prevista.
Di conseguenza il Giudice, valutato un simile comportamento alla stregua di un negozio in frode alla legge processuale, in quanto contrario alla ratio della Mediazione, dichiarava l’improcedibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo.
Il negozio in frode alla legge è il negozio che viene posto in essere per eludere un divieto posto da una norma imperativa ed secondo l’articolo 1344 c.c. quando negozio è posto in essere per eludere l’applicazione di una norma imperativa si considera nullo per illiceità della causa.
Ciò che caratterizza il negozio in frode alla legge obliqua è un rispetto meramente formale della legge, la quale viene sostanzialmente elusa.
Nel caso di specie il giudice – dr. Caramellino – anche in considerazione del fatto che vi era un unico procuratore per tutte le parti attrici, ne ha ravvisato, in via presuntiva semplice ex art. 2729 c.c., un accordo fraudolento fra i tre attori e ha deliberato che: “l’esperimento della procedura media-conciliativa, in quanto intesa allo scopo della deflazione del contenzioso mediante l’offerta di un’effettiva ed attuale possibilità di definizione stragiudiziale della controversia anteriormente alla trattazione della medesima, non possa ritenersi soddisfatta mediante un mero formalistico deposito di domanda cui non faccia seguito alcun comportamento della parte proponente idoneo a perseguire né l’instaurazione di un effettivo ed integro contraddittorio di fronte al mediatore, né l’effettiva fruizione del servizio da quest’ultimo erogato, che trova il suo corrispettivo nel pagamento delle competenze del mediatore e, pertanto, il comportamento elusivo tenuto dall’opponente nei confronti della prescrizione legale di un presupposto processuale, costituente norma imperativa, poiché posta a presidio del giusto processo e della sua ragionevole durata mediante la complessiva deflazione del contenzioso civile, anche nell’interesse pubblico, integri gli estremi della frode alla legge, che da sempre l’interpretazione del Supremo Collegio identifica con il perseguimento in via di fatto di un risultato vietato dalla legge con norma imperativa. (Cass. 11 gennaio 1973, n. 63, conf. Cass. 17 luglio 1981, n. 4414, ma già Cass. 3 febbraio 1967, n. 302, secondo cui atto in frode alla legge è quello che tende a “raggiungere fini contrari alla legge o ad ovviare a divieti tassativi di legge”; tutte le pronunce citate sono state adottate dalle Sezioni Unite della Suprema Corte).
L’accordo tra i co-attori, o eventualmente tra attore e convenuto, per vanificare la ratio della mediazione è, a suo modo, un negozio inteso a costituire modificare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale, nella specie il rapporto processuale e, pertanto, può ravvisarsi la fattispecie del negozio in frode alla legge.
Tale statuizione è rivolta a sanzionare tutti gli atti fraudolenti con cui le parti, in accordo tra loro, cerchino in maniera obliqua di violare le norme processuali stabilite dalla legge.”