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La politica del Gattopardo, che da sempre contraddistingue il nostro paese, ha colpito nuovamente il bersaglio, ovvero conservare lo status quo. Questa volta lo status quo da preservare era quello della nostra giustizia civile, collocata dalla Banca Mondiale, nel recente rapporto “Doing Business 2013”,  in fondo al pianeta: su 183 Stati, occupiamo il 158° posto per ottenere una sentenza (di primo grado!).

Il Governo aveva inteso superare il vizio di illegittimità costituzionale riconosciuto dalla Consulta – con sentenza dell’ottobre 2012 – per eccesso di delega, introducendo la mediazione obbligatoria con lo strumento del decreto-legge da sottoporre alla conversione parlamentare.

Siamo un paese con un alto tasso di litigiosità, il conflitto è vissuto come un evento patologico e mai come opportunità di confronto; vi è una totale mancanza di “fiducia sociale”, l’italiano medio tende a fidarsi solo della propria famiglia o, al massimo, di un ristretto entourage.

Ebbene la mediazione poteva contribuire a modificare questi atteggiamenti, ma negli abili giochi parlamentari l’istituto della mediazione è stato di fatto esautorato di efficacia, minandone in nuce il radicamento culturale.

È stata sufficiente una nottata di votazioni inconsulte e le  Commissioni I e V della Camera, in seduta congiunta, hanno  approvato alcuni emendamenti che rischiano, nel caso di consenso definitivo in fase di conversione, di annientare le potenzialità dell’istituto a tutto scapito della società civile, per di più a spese degli organismi di mediazione.

Nelle votazioni di quella notte tra il 15 e 16 luglio la politica gattopardesca è venuta fuori con tutta la sua indomita vitalità. 

Ci si riferisce agli emendamenti che prevedono la gratuità del mancato accordo preliminare,  la presenza obbligatoria dell’avvocato in ogni fase e la sperimentazione della mediazione per un periodo limitato a quattro anni.

Ciò, in pratica, vuol dire che il servizio di mediazione – perché di un pubblico servizio oramai si parla – deve essere reso completamente a spese degli organismi privati e di liberi professionisti. La prestazione del mediatore dovrebbe essere intesa quale prestazione di scopo?

L’emendamento è chiaramente in contrasto con l’art. 36 Cost. in quanto il mediatore, ma anche tutti gli altri addetti comunque necessari per l’espletamento del primo incontro,  dovrebbero prestare la propria attività, nella maggior parte casi a titolo gratuito con un’evidente lesione  del diritto, costituzionalmente garantito, di percepire una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro realizzato.

Inoltre la gratuità del mancato accordo preliminare potrebbe rivelarsi un valido espediente volto a disincentivare le parti dal concreto raggiungimento di un accordo, favorendo chi, tradizionalmente, tende ad eludere la mediazione, riducendo questa fase ad un mero adempimento burocratico per superare l’obbligatorietà, come da consolidata esperienza nel processo del lavoro.

Ma non dimentichiamo che a “drogare la domanda di giustizia”, secondo gli stessi legali, è anche l’eccessivo numero di avvocati: in Italia sono 32 per ogni giudice, in Francia 8, in Inghilterra 5 e, obiter dictum, in Parlamento il 10% tra deputati e senatori. Non è mica un caso che in quella oramai famosa notte è stata introdotta la presenza obbligatoria dell’avvocato in tutte le fasi della procedura di mediazione. D’altra parte gli avvocati sono mediatori di diritto, infastidiamoli solo per un periodo limitato di tempo!

Ed allora gli emendamenti killer “passano” nel silenzio del Palazzo, stravolgendo l’impianto normativo, qualcosa doveva pur cambiare perché tutto restasse com’era prima. Anche la contrazione dell’offerta di lavoro, perché davvero non si può e né si deve lavorare gratis a tutto vantaggio di un’arrogante lobby.

Pubblicato il 26 luglio 2013.